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Politica

L'Europa non permette il reddito solo agli italiani. Le Direttive Ue e le sentenze dei tribunali

Tony Gentile / Reuters
Tony Gentile / Reuters 

"Il problema non esiste perché fa fede solo il Contratto di Governo sottoscritto tra Lega e M5s: è scritto nero su bianco: il reddito di cittadinanza è rivolto solo ai cittadini italiani. Per cui verba volant, scripta manent...". Da quando il Contratto sia diventato una fonte del diritto italiano e comunitario non è dato saperlo. Ma il compiacimento del vicepresidente del Senato Roberto Calderoli per l'intesa raggiunta tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio sull'esclusione degli stranieri dalla platea beneficiaria del reddito di cittadinanza è destinato a infrangersi contro il muro di leggi, direttive Ue e sentenze di ogni ordine e grado della giustizia italiana ed europea.

Calderoli dice il vero quando sostiene che nel contratto è previsto l'accesso alla misura M5S di sostegno al reddito solo ai cittadini italiani: è alla prima riga del paragrafo dedicato. Tuttavia, per quanto l'accordo sia valido politicamente, non lo è per forza giuridicamente. È il caso in questione.

Sui cinque milioni di persone in povertà assoluta gli stranieri sono 1,6 milioni (il 31,8%) mentre se si considerano le famiglie quelle con stranieri sono il 31,7% delle 1.778.000. Quindi, una buona fetta, fermo restando che i dati dell'Istat non tengono conto degli immigrati irregolari, esclusi quindi dalla platea. Si tratta di circa un milione e mezzo di persone, i due terzi delle quali ascrivibili alla categoria dei soggiornanti di lungo periodo. Ed è a loro, secondo ben due direttive europee, che non si può riservare un trattamento diverso da quello valido per i cittadini italiani in tema di assistenza e sicurezza sociale.

L'articolo 11 della Direttiva 109 del 2003 stabilisce che "il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda [...]le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale". Lo specifica anche la legge italiana di recepimento della direttiva, con il decreto legislativo 3/2007 (articolo 9, comma 12, lettera C):

Il titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo può usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all'accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico, compreso l'accesso alla procedura per l'ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica, salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l'effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale

Ancora più chiaro è l'articolo 12 della Direttiva Ue 98 del 2011, quando stabilisce che i lavoratori dei paesi terzi di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettere b e c), beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne [...] i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004". Regolamento che come ambito di applicazione (articolo 3) prevede prestazioni come quelle di malattia, vecchiaia, per infortunio sul lavoro, disoccupazione, maternità e paternità, familiari.

Le norme europee sono chiare. Non solo: anche in mancanza di recepimento di tali norme da parte dell'Italia, la legge europea prevale su quella nazionale. Può tornare utile, per capire i contorni giuridici, il ricorso presentato (e accolto) nel 2015 da parte di una cittadina albanese contro la decisione dell'Inps di respingere la sua richiesta per il bonus bebé per mancanza di permesso di soggiorno di lungo periodo. Il Tribunale del Lavoro di Bergamo diede ragione alla cittadina di origine albanese. "L'articolo 12 della direttiva 98-2011 non recepito nel nostro ordinamento nonostante l'emanazione del decreto legislativo di recepimento (40/2014) e nonostante la scadenza dei termini, è preciso ed incondizionato", scrive il giudice.

"Esso dunque, nei rapporti di tipo verticale, ha efficacia diretta nel senso che trova ingresso nell'ordinamento interno senza necessità di alcuna norma di recepimento, ponendosi nella gerarchia delle fonti al di sopra della legislazione nazionale, che deve essere disapplicata in caso di contrasto", si legge nella sentenza 2820/2015. In primo luogo perché la situazione di svantaggio del cittadino straniero "realizza una forma di discriminazione oggettiva". In secondo luogo, perché l'obbligo di applicare la direttiva Ue ricade "su tutti gli organi dello Stato, ivi comprese le pubbliche amministrazioni", scrive il Tribunale richiamando a una sentenza della Corte di Giustizia Europea. In questo senso, la Direttiva del 2011, come pure la sentenza del Tribunale del lavoro, è ancora più estensiva rispetto alla Direttiva del 2003 che applica la parità di trattamento solo ai lungosoggiornanti (almeno 5 anni). E per questo la nozione di soggiorno va ricollegata anche solo "alla legalità del soggiorno che attiene alla sua effettività in senso sostanziale".

Sentenze analoghe sono state depositate da molti tribunali italiani e Corti d'Appello su diverse misure di tipo assistenziale come i premi nascita, assegni familiari, alloggi universitari, bonus affitti, congedi per maternità.

Le proteste dei giuristi. E' inaccettabile, secondo il diritto europeo, che una prestazione assistenziale come il reddito di cittadinanza possa essere data solo agli italiani. Lo ha detto il presidente del Cnel e ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu spiegando che la Corte europea di giustizia si è pronunciata più volte su prestazioni simili ribadendo l'estensione anche agli stranieri con permesso di lungo soggiorno. "Secondo me non è accettabile - ha detto rispondendo a un domanda sulle parole del vicepremier Luigi di Maio sul reddito di cittadinanza - che si dia solo agli italiani".

Limitare il reddito di cittadinanza ai soli cittadini italiani? "Intanto vorrei sapere che cosa si intende per reddito di cittadinanza, di cosa stiamo parlando. In ogni caso se si tratta di un provvedimento di ordine sociale, che prevede un'assistenza sociale, non può essere limitato ai cittadini italiani". Parola di Valerio Onida, costituzionalista ed ex componente della Corte costituzionale, che commenta con LaPresse le ultime dichiarazioni in materia dei due vice premier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, concordi nella volontà di voler restringere la possibilità di ricevere l'assegno promesso dal M5S in campagna elettorale ai soli italiani.

"Va esteso anche ai cittadini stranieri. Questa è la regola generale. Poi bisogna capire di quale istituto stiamo parlando", aggiunge Onida che ricorda come su questo tema la Corte Costituzionale si sia "già espressa tante volte. I giudici sono stati chiari, funziona così sul bonus bebè ad esempio", sottolinea.

Ecco allora, spiega il costituzionalista, che per poter richiedere e usufruire dell'assegno "basterebbe un permesso di soggiorno, di sicuro quello di lungo periodo sarebbe sufficiente ma forse anche un permesso di soggiorno" normale.

Non sono infondati, insomma, i dubbi di legittimità costituzionale che potrebbero sorgere e il primo a rilevarli potrebbe essere il Presidente della Repubblica. "Ha sempre la possibilità di rimandare alle Camere un provvedimento se ritiene che ci siano palesi motivi di incostituzionalità o, se si tratta di un decreto, di muovere delle obiezioni al governo che se poi se insiste può ripresentarlo".

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