MILANO - Ottanta giorni per tornare, o quasi, esattamente al punto di partenza. Il grafico con l'andamento dello spread restituisce più di ogni altra immagine la parabola gialloverde sui conti pubblici, dopo che il premier Conte ha proposto a Bruxelles di portare il rapporto deficit/Pil al 2,04% dal 2,4% previsto. Il differenziale questa mattina si posiziona intorno a quota 265 punti, non lontano dai livelli registrati all'indomani del varo della nota di aggiornamento al Def in cui per la prima volta il governo ha fissato l'asticella del deficit al 2,4%. In mezzo, due mesi e mezzo con il differenziale che si è mantenuto spesso sopra quota 300 punti, arrivando toccare il record di 326 il 20 novembre, ai massimi da oltre cinque anni.
Per l'Italia la scelta della voce grossa con l'Europa ha avuto un costo politico ed economico. Politico per l'avvio dell'iter della procedura di infrazione, con la prima bocciatura formale di una Manovra nei confronti di un Paese membro dell'Unione europea, economico per le ricadute sui conti pubblici e su imprese e famiglie.
In generale un aumento dei rendimenti significa garantire maggiori interessi agli investitori e spendere di più. Quanto? Il deputato dem Luigi Marattin ha evidenziato ad esempio come soltanto dalle aste di inizio ottobre sui titoli a 3,7,10 e 30 anni lo Stato è stato costretto a mettere in conto da qui al rimborso 728 milioni di spese in più per interessi rispetto a quanto avrebbe fatto se i rendimenti fossero rimasti ai livelli di aprile. Nel complesso invece, aveva stimato l'osservatorio Cottarelli sui conti pubblici a fine settembre, se il livello dello spread si fosse mantenuto a 300 avrebbe comportato per lo Stato un aggravio di spese di 935 milioni nel 2018 e 6,2 miliardi nel 2019. Cifre non lontane da quelle di Bankitalia, che a fine novembre ha spiegato che "l'incremento dei tassi all'emissione dei titoli di Stato ha determinato negli ultimi sei mesi un'espansione della spesa per interessi di quasi 1,5 miliardi", cifra che salirebbe "a 5 miliardi nel 2019 e circa 9 nel 2020 se i tassi dovessero restare coerenti con le attuali aspettative dei mercati",
Per l'Italia la scelta della voce grossa con l'Europa ha avuto un costo politico ed economico. Politico per l'avvio dell'iter della procedura di infrazione, con la prima bocciatura formale di una Manovra nei confronti di un Paese membro dell'Unione europea, economico per le ricadute sui conti pubblici e su imprese e famiglie.
Più spese per interessi
Per le casse pubbliche l'aumento dello spread condiziona inevitabilmente l'andamento delle aste del debito pubblico. Si tratta degli appuntamenti in cui lo Stato va sul mercato in cerca di sottoscrittori per i propri titoli. Se - come quando lo spread aumenta - sul mercato secondario i rendimenti dei titoli pubblici salgono, perché scende il prezzo se gli investitori vendono anziché comprare, gli omologhi titoli messi in asta dovranno assicurare rendimenti equivalenti. Per lo Stato significa prestare soldi spendendo più denaro. Per fare un esempio all'asta di aprile, prima della formazione del governo, il Tesoro aveva venduto Btp a 10 anni con un rendimento all'1,83%. Sei mesi più tardi, a ottobre e nel pieno della tempesta dello spread, per gli stessi titoli ha dovuto offrire rendimenti al 3,36%. Lo scarto è stato ancora più evidente nei titoli a un anno. Prima della formazione del governo il Tesoro collocava in asta con rendimenti negativi, dopo ha registrato solo rendimenti positivi. Tradotto: prima chiedere denaro a breve termine portava benefici, poi è diventato un costo.In generale un aumento dei rendimenti significa garantire maggiori interessi agli investitori e spendere di più. Quanto? Il deputato dem Luigi Marattin ha evidenziato ad esempio come soltanto dalle aste di inizio ottobre sui titoli a 3,7,10 e 30 anni lo Stato è stato costretto a mettere in conto da qui al rimborso 728 milioni di spese in più per interessi rispetto a quanto avrebbe fatto se i rendimenti fossero rimasti ai livelli di aprile. Nel complesso invece, aveva stimato l'osservatorio Cottarelli sui conti pubblici a fine settembre, se il livello dello spread si fosse mantenuto a 300 avrebbe comportato per lo Stato un aggravio di spese di 935 milioni nel 2018 e 6,2 miliardi nel 2019. Cifre non lontane da quelle di Bankitalia, che a fine novembre ha spiegato che "l'incremento dei tassi all'emissione dei titoli di Stato ha determinato negli ultimi sei mesi un'espansione della spesa per interessi di quasi 1,5 miliardi", cifra che salirebbe "a 5 miliardi nel 2019 e circa 9 nel 2020 se i tassi dovessero restare coerenti con le attuali aspettative dei mercati",