Economia

Deficit dal 2,4% al 2,04%: tra mutui in rialzo e aste più care, quanto ci è costata la forzatura con l'Europa

Nei due mesi e mezzo di strappo con la Ue lo spread è schizzato oltre quota 300 ritrovando i massimi da oltre cinque anni. Per lo Stato ha significato maggiori spese per interessi, per le famiglie un rialzo dei tassi per i nuovi mutui. E per i possessori di azioni, banche in primis, è stato un autunno nero
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MILANO - Ottanta giorni per tornare, o quasi, esattamente al punto di partenza. Il grafico con l'andamento dello spread restituisce più di ogni altra immagine la parabola gialloverde sui conti pubblici, dopo che il premier Conte ha proposto a Bruxelles di portare il rapporto deficit/Pil al 2,04% dal 2,4% previsto.  Il differenziale questa mattina si posiziona intorno a quota 265 punti, non lontano dai livelli registrati all'indomani del varo della nota di aggiornamento al Def in cui per la prima volta il governo ha fissato l'asticella del deficit al 2,4%. In mezzo, due mesi e mezzo con il differenziale che si è mantenuto spesso sopra quota 300 punti, arrivando toccare il record di 326 il 20 novembre, ai massimi da oltre cinque anni.

Per l'Italia la scelta della voce grossa con l'Europa ha avuto un costo politico ed economico. Politico per l'avvio dell'iter della procedura di infrazione, con la prima bocciatura formale di una Manovra nei confronti di un Paese membro dell'Unione europea, economico per le ricadute sui conti pubblici e su imprese e famiglie.

Più spese per interessi

Per le casse pubbliche l'aumento dello spread condiziona inevitabilmente l'andamento delle aste del debito pubblico. Si tratta degli appuntamenti in cui lo Stato va sul mercato in cerca di sottoscrittori per i propri titoli. Se - come quando lo spread aumenta - sul mercato secondario i rendimenti dei titoli pubblici salgono, perché scende il prezzo se gli investitori vendono anziché comprare, gli omologhi titoli messi in asta dovranno assicurare rendimenti equivalenti. Per lo Stato significa prestare soldi spendendo più denaro. Per fare un esempio all'asta di aprile, prima della formazione del governo, il Tesoro aveva venduto Btp a 10 anni con un rendimento all'1,83%. Sei mesi più tardi, a ottobre e nel pieno della tempesta dello spread, per gli stessi titoli ha dovuto offrire rendimenti al 3,36%. Lo scarto è stato ancora più evidente nei titoli a un anno. Prima della formazione del governo il Tesoro collocava in asta con rendimenti negativi, dopo ha registrato solo rendimenti positivi. Tradotto: prima chiedere denaro a breve termine portava benefici, poi è diventato un costo.


In generale un aumento dei rendimenti significa garantire maggiori interessi agli investitori e spendere di più. Quanto? Il deputato dem Luigi Marattin ha evidenziato ad esempio come soltanto dalle aste di inizio ottobre sui titoli a 3,7,10 e 30 anni lo Stato è stato costretto a mettere in conto da qui al rimborso 728 milioni di spese in più per interessi rispetto a quanto avrebbe fatto se i rendimenti fossero rimasti ai livelli di aprile. Nel complesso invece, aveva stimato l'osservatorio Cottarelli sui conti pubblici a fine settembre, se il livello dello spread si fosse mantenuto a 300 avrebbe comportato per lo Stato un aggravio di spese di 935 milioni nel 2018 e 6,2 miliardi nel 2019. Cifre non lontane da quelle di Bankitalia, che a fine novembre ha spiegato che "l'incremento dei tassi all'emissione dei titoli di Stato ha determinato negli ultimi sei mesi un'espansione della spesa per interessi di quasi 1,5 miliardi", cifra che salirebbe "a 5 miliardi nel 2019 e circa 9 nel 2020 se i tassi dovessero restare coerenti con le attuali aspettative dei mercati",
 

Salgono i tassi per i nuovi mutui

Capitolo a parte per imprese e famiglie. L'aumento dello spread non ha condizionato l'andamento dei mutui in essere. Quelli a tasso fisso sono, appunto, immutabili e quelli a tasso variabile sono indicizzati all'Euribor che non risente delle variazioni dello spread. Tuttavia l'aumento dello spread ha cominciato ad avere ripercussioni sui nuovi finanziamenti. Come certificato prima dall'Abi e poi da Banca d'Italia i tassi sui mutui sono cominciati a risalire. Questo perché le banche hanno cominciato ad aumentare lo spread da loro applicato sui finanziamenti in seguito alla svalutazione dei propri attivi, visto che gli istituti sono massicci detentori di titoli di Stato, il cui valore è come detto sceso in questi mesi. Le banche si sono così "rifatte" sulle perdite aumentando il "costo" dei prestiti.

Piazza Affari, banche a picco

E proprio per le banche è stato un autunno difficile. Dal 27 settembre ad oggi l'indice settoriale degli istituti ha perso il 18,1%, a fonte di un calo dell'indice generale dell'11,7%. Una flessione che non è certamente tutta dipendente dalle tensioni italiane visto che l'intero comparto azionario ha sofferto nel corso degli ultimi mesi, anche se fino all'inizio di dicembre, quando il governo ha riaperto le porte per una trattativa con l'Europa, il nostro indice ha sofferto molto più degli analoghi europei.