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Cronaca

Incassava 6 milioni in un anno, ma pagava i braccianti 3,33 euro l'ora. Arrestato noto imprenditore foggiano

Ansa
Ansa 

Nel 2019 aveva incassato quasi 6 milioni di euro. Ma pagava i suoi dipendenti, braccianti in molti casi reclutati nei ghetti del Foggiano, 3,33 euro l’ora. Il compenso poteva arrivare a 5,71 euro al massimo. Per estenuanti giornate lavorative di nove ore. Senza pause - se non ,qualche volta, uno stop, di mezz’ora al più, per il pranzo - senza ferie, senza riposo. Senza diritti. La storia, l’ennesima, di caporalato arriva dalla Puglia. 

Settimio Passalacqua, un noto imprenditore agricolo di Apricena, in provincia di Foggia, è stato arrestato insieme al suo braccio destro, Antonio Piancone. Per l’uomo, titolare di cinque imprese agricole nella zona, sono scattati gli arresti domiciliari. L’accusa per entrambi è di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro aggravati e altre violazioni in materia di formazione dei lavoratori sui rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro, nonché relative all’igiene del lavoro e di uso dei dispositivi di protezione individuali.

Sono state fatte verifiche su 5 aziende, dove lavorano 222 dipendenti, - non tutti extracomunitari, tra loro c’erano anche persone provenienti da Paesi Ue e italiani - che si estendono per quasi 2.000 ettari. Un patrimonio di non poco conto. Si tratta, infatti, di imprese che hanno prodotto un volume di affari, nel solo 2019, stimato in oltre 5 milioni e 800 mila euro.

Una busta paga per i lavoratori esisteva. Almeno formalmente. E conteneva gli importi corretti, prescritti dalla legge. Ma, secondo gli inquirenti, il bracciante doveva poi restituire la somma ‘in eccesso’ rispetto agli accordi fatti sottobanco. Il gip nell’ordinanza scrive: “Sia in Merito alla farraginosa modalità creata dall’imprenditore per garantire l’astratta corrispondenza tra quanto indicato in busta paga e quanto versato a titolo di retribuzione che prevedeva la restituzione in contanti del surplus da parte dei lavoratori, sia con riguardo alla compravendita delle giornate di lavoro, che fornisce all’imprenditore sgravi contributivi: la contestazione di un solo falso bracciante, infatti, comporta per l’azienda la restituzione di tutti gli sgravi di cui ha usufruito con riferimento al trimestre in cui è presente il lavoratore fittizio”. Questo era il caso riguardava dei lavoratori italiani. Se, invece, i braccianti - gli stranieri o i più bisognosi - non erano a conoscenza di alcuni loro diritti,il pagamento avveniva sempre in maniera tracciata, ma secondo la retribuzione pattuita senza rispettare la legge. E l’azienda, secondo quanto ricostruito dall’accusa, comunicava all’Inps non il numero di giornate effettivamente fatte, ma solamente quelle che andavano a far coincidere lo stipendio corrisposto con le giornate che in teoria si sarebbero dovute svolgere per raggiungere quella somma. Vale a dire, molte meno rispetto a quelle effettive.

Non solo. Le indagini hanno permesso di accertare l’esistenza di falsi rapporti di lavoro, realizzati  - è la tesi degli inquirenti - attraverso la compravendita di giornate lavorative. Il meccanismo era semplice: l’azienda comunicava all’Inps l’assunzione di soggetti che poi al lavoro non si presentavano. Si realizzava così un doppio vantaggio: l’aumento della quota di sgravio contributivo a favore dell’azienda compiacente da un lato. E dall’altro il riconoscimento delle indennità assistenziali a favore del finto lavoratore.

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