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Politica

Il Governo delle trivelle. Rinnovate concessioni petrolifere e permessi in scadenza

ansa
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La Befana 2019 porta con sé un'altra materia incandescente per l'esecutivo gialloverde, soprattutto per il rapporto tra il M5s e il suo elettorato: il petrolio. Il Governo del cambiamento non riesce a incidere alcuna svolta sul tema delle trivellazioni, oggetto di un referendum 'No triv' nel 2016, fortemente sostenuto dai pentastellati prima di varcare la soglia di Palazzo Chigi. E così, vuoi per concessioni già accordate dai governi precedenti, vuoi per mancate impugnazioni o rinnovi concessi ora, vuoi anche per l'assenza totale nella narrazione dei pentastellati di governo di propositi di riforma della normativa che obbliga a rispettare i permessi concessi a meno di pagare le penali, il tema del petrolio scorre via come sempre, come se al governo non fosse arrivato chi una volta militava con i No Triv.

Così quando si diffonde la notizia del rinnovo delle concessioni petrolifere e dei permessi in scadenza nel Mare Ionio, dinanzi alla rabbia del mondo ambientalista, Sergio Costa e Luigi Di Maio provano a frenare. Dall'Ambiente e dallo Sviluppo Economico assicurano che questi erano "sì obbligati", eredità del governo precedente, e assicurano che faranno di tutto per fermare le trivellazioni. Parole a parte, nessuna discontinuità per ora, con tanta delusione dei militanti anti-trivelle.

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C'è una nuova concessione in località Bagnacavallo in Emilia Romagna, la proroga fino al 2022 di una concessione scaduta da anni a San Potito, nella stessa area.

(continua a leggere dopo la foto)

Nuova concessione in Emilia Romagna
Nuova concessione in Emilia Romagna 

E ancora: ben tre permessi di ricerca in mare, due contigui sotto Santa Maria di Leuca in Puglia, l'altro sotto Crotone in Calabria. I nuovi permessi sono pubblicati nel Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse di dicembre, emesso dal ministero allo Sviluppo Economico guidato da Luigi Di Maio. "Tutto quello che avevamo contestato ai precedenti governi viene attuato da quello attuale, il governo del cambiamento", dice incredulo ad Huffpost Enzo Di Salvatore, costituzionalista del comitato No Triv e autore dei quesiti referendari del 2016 contro le trivellazioni petrolifere.

Tra l'altro, fa notare ancora Di Salvatore, i permessi in mare violano il limite di 750 kmq stabilito per legge alle aree di ricerca: "Le due aree previste sotto Santa Maria di Leuca nel Salento sono infatti contigue: una di 729kmq, l'latra di 749kmq, e sono state concesse ad un'unica multinazionale, la Global Med. Ben oltre il limite quindi".

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I nuovi permessi di ricerca idrocarburi concessi dal governo Lega-M5s nel Mediterraneo
I nuovi permessi di ricerca idrocarburi concessi dal governo Lega-M5s nel Mediterraneo 

Le avvisaglie erano arrivate prima di Natale, quando, con il consiglio dei ministri del 21 dicembre, il governo si è costituito davanti alla Corte Costituzionale nel ricorso presentato dalla Regione Basilicata (per conflitto di attribuzione tra Stato e Regione) sul progetto petrolifero 'Masseria La Rocca'. Eppure solo 9 giorni prima lo stesso Di Maio aveva annunciato: "Per gli amici della Basilicata: abbiamo respinto l'autorizzazione per l'impianto di Masseria La Rocca" per la ricerca di idrocarburi. Non è andata così.

La scelta del consiglio dei ministri ha lasciato i lucani di stucco: per la cronaca, in Basilicata si vota per le regionali quest'anno. Mirella Liuzzi, deputata lucana del M5s, ha tentato di correre ai ripari: "Costituirsi in giudizio era un atto assolutamente dovuto da parte della Presidenza del Consiglio. Questo 'conflitto' decadrà non appena il prossimo Consiglio dei Ministri delibererà e rigetterà definitivamente l'istanza di permesso di ricerca petrolifera".

E così anche il sottosegretario allo Sviluppo Economico Davide Crippa: "Il Consiglio di Stato ha di fatto intimato al Mise di portare il superamento della mancata intesa in Consiglio dei ministri. Il 12 dicembre il Cdm ha così iniziato l'istruttoria e nella fase di discussione è emerso come questo governo non intenda superare la mancata intesa della regione Basilicata. Oggi siamo di fronte al fatto che ci devono essere i tempi tecnici per scrivere la delibera della presidenza del consiglio dei ministri che sarà quindi oggetto del primo cdm utile nel quale verrà definitivamente rigettato il superamento della mancata intesa. Grazie a quella delibera sarà poi possibile per il Mise procedere al rigetto dell'istanza di Masseria La Rocca. Fino a quel momento rimane pendente però, perché l'oggetto nel contendere non è terminato, il ricorso alla Corte costituzionale".

Di Salvatore non la vede così: "La costituzione in giudizio non è 'un atto assolutamente dovuto' e non è un atto meramente formale. Basta andare a leggere le 'Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale' (16 marzo 1956 e successive modificazioni) per capire che sia così: il Governo può, non deve".

Ma al di là di questo, resta la questione dei permessi rinnovati senza ostacoli, senza nemmeno annunciare il proposito di cambiare la normativa che lo impone e che non salvaguarda lo Stato da eventuali impugnazioni delle compagnie petrolifere.

"Il governo ha avuto sei mesi di tempo per cambiare la normativa e non l'ha fatto - continua Di Salvatore - Poi per sei mesi non ha rilasciato alcun titolo, rendendosi evidentemente conto che non decidere secondo i tempi della legge lo avrebbe comunque esposti a ricorsi al Tar. Occorre modificare la normativa se si vuole mettere ordine al settore, ma di questo non c'è la minima traccia nell'operato del governo gialloverde. Ci hanno provato con un emendamento alla legge di bilancio ed è stato dichiarato inammissibile. Per forza: interveniva abrogando parti già abrogate dello Sblocca Italia (legge del governo Renzi, ndr.)! Che pasticcio...".

"È necessario che le regioni promotrici dei sei quesiti referendari si incontrino nei prossimi giorni. Ho chiesto al Presidente Michele Emiliano di rendersi disponibile per vederci a Bari", commenta Piero Lacorazza, consigliere regionale della Basilicata e tra i principali promotori del referendum no triv del 17 aprile 2016a seguito del quale, peraltro, proprio il suo partito decise di non rinnovargli l'incarico di presidente del Consiglio Regionale.

"Il rilascio di permessi di ricerca nel Mar Ionio - continua - sono la causa scatenante della necessità di rivedere le norme sulle quali infrangono anche le promesse elettorali del M5S. Temi e norme erano già contenuti nella iniziativa referendaria avviata dalla Regioni nel settembre 2015. Strano che dopo mesi del Governo Conte Di Maio Salvini tutto sia proceduto con estrema distrazione o superficialità. Ricorda, inoltre, che la Basilicata, su mia proposta ha approvato da tempo la richiesta di un piano delle aree per l'attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi in mare e in terraferma. Questo e stato il tema principale della iniziativa referendaria neutralizzato dal Governo Renzi nella legge di stabilità 2016 forse con la speranza che con la riforma costituzionale, poi bocciata dagli elettori il 4 dicembre 2016, lo stato disponesse esclusivamente delle materie 'energia' e 'governo del territorio'. Noi non abbiamo fatto sconti a nessuno, abbiamo indossato la casacca a difesa dei nostri territori ed oggi osserviamo come questo Governo, tra distrazione e superficialità, si sia fatto sfuggire di mano la questione. Oltre alle associazioni e ai comitati le Regioni e gli enti locali possono dare un importante contributo al cambiamento, quello costruito sui fatti e non sulle chiacchiere".

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Dopo la pubblicazione di questo articolo su Huffpost, si scatena la polemica. Intervengono Sergio Costa e Luigi Di Maio su Facebook: la colpa delle autorizzazioni è del Pd, che le aveva già concesse con i passati governi. Questo governo le ha (solo) confermate. Di Maio spiega che "non si poteva fare altrimenti, perché altrimenti avremmo commesso un reato", ma "faremo il possibile per bloccare le trivellazioni volute dal Pd, ovviamente senza infrangere la legge. Non mi risparmierò. Ce la metto tutta, come sempre!"

Il ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, scrive che "non sono diventato ministro dell'Ambiente per riportare l'Italia al Medioevo economico e ambientale. Anche se arrivasse un parere positivo della commissione Via, non sarebbe automaticamente una autorizzazione. Voglio che sia chiaro". Si intravede una polemica con Di Maio, sarebbe lui il responsabile vero delle autorizzazioni, sembra dire Costa. Già: ma il ministro dell'Ambiente finora non aveva espresso pubblicamente queste sue perplessità, in modo da aprire un dibattito sul tema, almeno questo. Forse sarebbe servito ai No Triv per lo meno a capire cosa stava succedendo: la trasparenza avrebbe certo reso la materia meno oscura e forse non ci sarebbe stata la 'sorpresa' della Befana. Ad ogni modo, il ministro scrive che "i permessi rilasciati in questi giorni dal mise sono purtroppo il compimento amministrativo obbligato di un sí dato dal ministero dell'ambiente del precedente governo", e annuncia di essere al lavoro assieme al Mise per inserire nel dl Semplificazioni una norma per lo stop a 40 permessi pendenti.

Raccogliamo le precisazioni del sottosegretario e del ministro, ma non possiamo che rivelare lo scarto esistente tra le promesse di campagna elettorale e l'operato di questi primi dieci mesi di 'governo del cambiamento'. Come sul Tap o sull'Ilva di Taranto, per fare due esempi.

La rabbia che si respira nel mondo degli ambientalisti e dei No Triv arriva anche tra gli amministratori locali. Come il governatore della Puglia Michele Emiliano, sostenitore del referendum No Triv, che si scaglia con veemenza contro l'esecutivo: "È insopportabile la bieca ipocrisia di chi, dopo aver finto di lottare al nostro fianco, appena giunto al Governo del Paese anche grazie ai tanti elettori sensibili a questo argomento, ora assume le medesime condotte dei governi precedenti che si volevano contrastare con la richiesta di referendum antitrivelle".

Intanto il costituzionalista Di Salvatore risponde al ministro Costa su Facebook:

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