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Economia

Il giorno dopo il Def bruciati 22 miliardi in Borsa: lo spread non esplode ma i titoli bancari vanno a picco

Corbis via Getty Images
Corbis via Getty Images 

Piazza Affari trascinata giù dai titoli bancari e un costo - ipotetico - di 9 miliardi nel 2019 per spesa in interessi sul debito. Il giorno dopo l'approvazione della nota di aggiornamento del Def che ha fissato un incremento del deficit al 2,4% del Pil per i prossimi tre anni, la reazione dei mercati è negativa, secondo le attese, ma non catastrofica, secondo quelle peggiori. Lo spread, il differenziale tra i btp e i bund tedeschi, chiude a 267 punti, circa trenta punti in più rispetto a ieri, con i rendimenti dei decennali in area 3,1%. Sebbene smentiti i peggiori pronostici che volevano un'esplosione immediata dello spread di oltre cento punti, la giornata a Piazza Affari è stata comunque rovinosa. La borsa di Milano ha lasciato sul terreno il 3,72% trascinata a picco dai titoli bancari: -9,4% Banco Bpm, -8,4% Intesa Sanpaolo, -8,3% Bper, -7,8% Ubi, -6,7% Unicredit. Il Ftse All Share, l'indice che rappresenta tutte le azioni del listino milanese, ha perso il 3,51%, mandando in fumo oltre 22 miliardi di euro di capitalizzazione.

Il Governo ostenta sicurezza: "Confido che quando i mercati potranno conoscere nei dettagli la manovra, visto che sono tutti versati a valutare gli investimenti, lo spread sarà coerente", ha detto il premier Giuseppe Conte. Nell'attesa, però, i titoli bancari hanno trascinato giù i listini europei (perso tra lo 0,8% di Parigi e l'1,5% di Francoforte).

Le variabili nel crollo in borsa sono diverse. Da un lato pesa il possibile - se non probabile - scontro che il Governo dovrà ingaggiare a Bruxelles con la Commissione Europea. Oggi il commissario agli affari economici Pierre Moscovici ha giudicato negativamente il deficit fissato oltre i limiti concordati con il ministro Tria; ma non ha forzato più di tanto lasciando aperto il dialogo con Roma. Pesano, di più, i timori per un possibile taglio del rating italiano da parte delle agenzie, in primis Moody's e S&P's attese per ottobre a dare il loro giudizio sul merito di credito per l'Italia. Un taglio del rating sovrano dell'Italia di due gradini, a 'junk', potrebbe scatenare uno "stop improvviso" all'afflusso di capitali verso l'Italia, che non avrebbe sufficiente domanda per finanziare il suo indebitamento, secondo Silvia Ardagna di Goldman Sachs. Al momento però è certamente prematuro avanzare una simile ipotesi.

A far crollare Piazza Affari è stata, in larga parte, la forte esposizione delle banche sul fronte dei btp: gli istituti italiani hanno in portafoglio titoli di Stato del nostro Paese per 373,4 miliardi di euro. Gli acquisti delle banche hanno compensato la fuga degli investitori stranieri che durava da aprile e che ha subito un'inversione di tendenza solo a luglio, forse attratti dai rendimenti più alti.

Una stima dell'impatto dell'aumento dello spread sui bilanci degli istituto, secondo gli analisti, è difficile da realizzare prima dei bilanci consuntivi visto che vi sono troppo variabili e difformità fra ciascuna situazione. Certo è che l'impatto è negativo: la crescita del differenziale pesa in maniera diretta a causa dell'indebolimento del loro capitale (Cet1) per via delle perdite sul valore dei Btp in portafoglio. Perché? Con l'introduzione del nuovo standard contabile (IFrs 9) il conto economico delle banche deve inserire nella redditività complessiva l'andamento del portafoglio finanziario. Finché i btp saranno tenuti in pancia dalle banche, essi saranno rilevati a stato patrimoniale. In pratica, l'aumento dello spread fa calare i coefficienti patrimoniali delle banche, indebolendole. In maniera indiretta, anche se per ora è solo un rischio, lo spread pesa poi anche a causa di condizioni di finanziamento più difficili che scontano quando cercano capitali sul mercato.

C'è poi anche un altro conto da fare, seppur più ipotetico. Nei mesi scorsi l'Ufficio Parlamentare di Bilancio ha prodotto una analisi delineando diversi scenari sulle esigenze di rifinanziamento del debito pubblico e una previsione della spesa per interessi. Il primo scenario prevedeva uno spread in salita di 100 punti su tutta la curva dei rendimenti a partire da gennaio scorso e fino al 2020. In questo caso nel 2018 la spesa per interessi aumenterebbe di 1,8 miliardi, 4,5 miliardi l'anno prossimo e 6,6 miliardi nel 2020. Sempre l'analisi dell'Upb indicava che uno shock da 200 punti base (dunque in area 300 punti) comporterebbe un impatto doppio. Quindi per il 2019 la spesa per interessi aumenterebbe di circa 9 miliardi (quasi un reddito di cittadinanza) per superare i 13 miliardi nel 2020. Oggi, il giorno dopo l'approvazione del Def, ci troviamo in uno scenario intermedio tra il primo e il secondo. Presto per dire come i mercati reagiranno nelle prossime settimane alla legge di bilancio, ma molto dipenderà dalla capacità del Governo di trattare con Bruxelles e convincere i mercati.

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